Sulla collina di Dülük Baba Tepesi, a circa dieci chilometri dalla città di Gazientep, nel sudest della Turchia, si trovava la città di Doliche e il santuario di Giove Dolicheno. Giove-padre, colto in questo suo epiteto, ebbe un discreto seguito in Italia, annoverandosi tra le numerose deità pseudo-orientali che affascinarono Roma, come Mitra, Iside ed altre.
L'origine del culto è spiegata nella commistione culturale che venne a crearsi nel corso del I secolo a. C. tra le truppe romane e quelle del regno ellenistico di Commagene, incentrato all'incirca nel territorio delle attuali Georgia e Armenia. I commageni presero parte a varie campagne militari, come a quella che vide la sottomissione del Regno del Ponto, entro il 64 a. C.; già alleati e “clienti” dell'impero, finirono per esserne annessi, una priva volta nel 17 e definitivamente nel 72 d. C. Si tratta di una fase particolarmente complessa della storia ellenistico-romana, ma solo apparentemente remota poiché un gran numero di cittadini dell'impero, di cui moltissimi provenienti dall'Italia, parteciparono a quei conflitti.
Anche Florentia fu abitata da uomini che avevano partecipato a importanti campagne militari. Ce ne parlano epigrafi come quelle di alcuni pretoriani (1) e di “miliziani teodosiani” (2), o le tracce di un florentinus morto a Smirne (3). Tornati in patria in seguito a fusioni cultuali, sacrifici propiziatori ed eventi fortunosi, i milites mantennero un legame con le divinità orientali, trasfigurate entro breve in forme romaneggianti. Forti del loro esotismo, alcuni culti ebbero ulteriore successo, tanto che le loro declinazioni romane finirono per affermarsi anche nei luoghi d'origine, ormai sottomessi all’impero.
I romani fecero un po' quel che gli pareva con le deità orientali e con le loro tradizioni, ma ebbero il merito di favorire una certa coinè culturale, ispirati dai retaggi del mito di Alessandro e all'anelito degli aneliti: l'unità tradizionale dell'umanità, l’utopia essenziale dell'ellenismo.
Le prime tracce del culto di Giove Dolicheno, già culto di Hada-Baal-Teshub, sono datate all’epoca di Marco Aurelio, con un tempio posto sul colle Celio. Troviamo inoltre varie dediche sotto Settimio Severo e Caracalla. Dolicheno fu assunto dunque come epiteto di Giove, come risulta chiaramente durante il regno di Vespasiano. Allora Iuppiter Optimis Maximum Dolichenus è rappresentato come uomo barbuto in piedi sopra un toro, recante nelle braccia un fulmine e una bipenne. Una figura pregna di retaggi dorici e inquietudini mediorientali.
Non sono molte le località della nostra penisola che anoverano la presenza di Giove Dolicheno. Oltre a Roma, risultano tracce a Concordia Sagittaria (la Iulia Concordia presso Portogruaro), e nella etrusca Bologna. Ma c'è anche Firenze.
Il Dolicheno a Firenze
Approfondendo la topografia dei ritrovamenti epigrafici nel centro di Florentia scopriamo l’esistenza del frammento di un'iscrizione dedicata a Juppiter Dolichenus, emersa in via Vecchietti, alla cantonata con il decumano massimo corrispondente a via Strozzi (4). È quindi probabile che esistesse un piccolo santuario dedicato al Dolicheno proprio nei pressi del foro della città.
Non è la prima volta che - anche in questo blog - ci troviamo a far ipotesi sulla base di ritrovamenti di singoli frammenti epigrafici nel terreno del centro storico. Penso al caso di Mercurio nei pressi di Orsanmichele (vedi articolo). Resto scettico sulle conseguenti deduzioni archeologiche, se non caso in cui questi antichi messaggi ci aiutino a mettere in moto l’anima, a reintegrare fattori sommersi, attinenti al nostro rapporto con la città e i sui luoghi peculiari. Episodi e dinamiche che incuriosiscono, accomunandoli, residenti e turisti, anziani e ragazzini.
A tal proposito voglio sottolineare come i discendenti delle prime generazioni di veterani che avevano fondato Florentia avessero animo fiero, prediligendo alla vanga il servizio militare lontano dalla propria città. Del resto, molti di essi ebbero possedimenti in città e nella pianura proprio in virtù delle loro missioni e di quelle dei loro avi. La stessa indole possiamo rivederla nei nostri mercanti, sempre pronti a intraprendere viaggi strategici, spesso rischiosissimi, e sebbene Florentia non potesse essere, almeno fino ad epoca moderna, una potenza marittima.
Tutto questo, quasi come se l’ispirazione nei confronti dell’ignoto dipendesse da fattori intimi e irresistibili.
Florentia e il Vicino Oriente
Firenze ha avuto un qualche rapporto con l'oriente anche per alcuni tratti della sua storia più antica. Ad esempio con la Siria (il cui concetto era un tempo assai più esteso di oggi) da cui proviene il culto dolicheno. Penso a quel quartiere colmo di “siriani e greci” (quindi a Borgo de' Greci) dal quale, secondo una leggenda, provenne il giovane Miniato, martire sul Mons Florentinus. O ai rapporti con la Terra Santa, in cui i fiorentini combatterono in prima linea per poi approfittare dei nuovi flussi commerciali.
Persino Dante ebbe occasione di ricordare che la città avesse un continuo “ricambio di gente” proveniente da luoghi diversi e remoti (5).
Ho la “fortuna” congenita, scaturita dai racconti storici di mio padre (quasi un “lavaggio del cervello” che ha caratterizzato parte della mia infanzia), di poter camminare per la città intravedendo qua e là visioni-quadri animati dell’antichità: un monumento, un evento, un personaggio ... riuscendo a collocare queste visioni in un contesto storico-archeologico. Capita così di rivedere, nello sguardo dei tanti immigrati, profughi e clandestini che arrivano in città, qualcosa di ancestrale: un fattore medio-orientale inscindibile dalla fiorentinità. Un elemento che si ripete secondo un meccanismo, appunto, archeologico.
A quali deità hanno sacrificato, questi uomini, prima di partire? A cosa sono sopravvissuti?
Questa “familiarità” non può giustificare certi disagi e certi scempi che vediamo in città, ma mi aiuta almeno a riproporre la questione in una luce più temperata. Riesco a tollerare qualcosa di più della nostra epoca, sempre più mescolata e confusa, in cui la “vecchia Firenze” sprofonda in un crogiuolo bollente d'immagini apparentemente aliene. E riesco a distinguere le istanze umane dalle speculazioni politiche.
È proprio mio padre ad avermi suggerito di scrivere qualcosa sul Dolicheno a Firenze, durante le sue ricerche su una realtà vicino-orientale che credo diverranno prossimamente un libro. “Chissà che non sia stato proprio un compagno di quel fiorentino morto a Smirne, dove fu ritrovata la sua lapide, a portare a Firenze il culto di Giove Dolicheno!”. Inizialmente non l'ho preso molto in considerazione, ma poi, camminando la sera tra piazza della Repubblica e Piazza della Stazione, circondato da africani, curdi, pakistani e chissà chi altro, l’idea è improvvisamente tornata in superficie.
...Smirne, di cui abbiamo parlato in altri casi: Smirne e Sardi, i cui emissari giunsero sino a Roma per indagare l'origine comune con gli Etruschi, ai fini della loro propaganda rivolta a Cesare … (5). E così via, nel corso della fiorendipità. Perché se si comincia ad associare e parlare liberamente, noi altri rischiamo d’arrivare anche troppo lontano.
Perché la ricerca è un viaggio, è di per sé un Oriente. E le analogie sono ponti per raggiungere noi stessi, e il fascino del passato è la spia d’un certo livello d’elaborazione del presente, comunque custoditi dal rischio di una deriva.
Infine, alla metà del III secolo l'imperatore sassanide assediò e saccheggiò Doliche. Con la perdita del santuario principale il culto del Dolicheno venne lentamente abbandonato, anche in occidente dove non aveva mai raggiunto un’universalità territoriale.
L'ultimo reperto relativo al Dolicheno di cui si ha notizia risale al regno di Gallieno (III sec. d.C.), proveniente dall’Esquilino.
Del santuario fiorentino non sappiamo niente di più di quanto accennato. E forse non vi fu mai nemmeno un santuario, ma solo una dedica, persa tra le altre, affondata nel fangoso marais fiorentino.
LP
Fiorendipità
ogni primo Marte-dì del mese
Note
1) R. Davidsohn, Storia di firenze, Sansoni, Firenze 1981, Vol I, p. 28.
2) E. Pecchioni, G. Spini Totila e Belisario, Press & Archeos, Firenze 2013, p. 42. cfr. Lopes Pegna, Firenze dalle origini al medioevo, Del Re, Firenze 1974, p. 365.
3) R. Davidsohn, cit., p. 28.
4) Frammento di base marmorea ritrovata nel 1890-1895 nelle adiacenze delle Terme Capitoline: (io)VI DO(licheni) (n)ORB(anus) (ex v)IS(o. d. d.). Lopes Pegna, cit., p. 550.
5) Rimando al documentario Fiorendipità, storia e anima del quartiere di Dante (2015) in cui si parla anche di questo aspetto.
6) L. Pecchioni, Orizzonti etruschi in Val Padana, Press & Archeos, Firenze 2019, pp. 15-16.
Immagine nel testo tratta da
S. Capocasa, Dolocenum. Tempio di Giove Dolicheno,
in Roma dalla A alla Z, Simart Web, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali
https://simartweb.comune.roma.it/articolo/60
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