Giovan Battista Gelli e l'inferno della fiorentinità

Ultimamente qualcuno mi ha fatto notare che “la fiorendipità non è per nascita ma per elezione”. Concordo: la fiorendipità è di tutti. La fiorentinità invece è, o forse era, un insieme di caratteristiche specifiche delle genti di Firenze. Talvolta un intreccio di difetti.
 Un problema che forse si sta risolvendo da solo perchè “noi fiorentini stiamo scomparendo”.

Ebbene sì, lo si sente dire sempre più spesso, non solo dagli anziani.
Ma di cosa stiamo parlando precisamente? Cosa sta scomparendo? Forse una generazione? Un insieme di tradizioni? O meglio un paradigma, un carattere, un atteggiamento esistenziale?
Oggi, scrivendo liberamente come al solito, porterò qualche elemento in proposito. E soprattutto un esempio, quello di un fiorentino la cui vicenda è sconosciuta ai più, morto in un luglio di quattrocentosessantuno anni fa.


Premessa infernale

Il centro di Firenze è per il fiorentino "anziano", da questo momento dell’anno e per il resto dell’estate, qualcosa come un inferno, una Città di Dite di dantesca memoria.
Non trovo parole diverse per definire il senso d'alienazione che può provare, nell'attraversare la città, qualcuno che ha vissuto la “vecchia firenze”, che ne fosse originario o no.

La nuova cittadinanza, copiosa e brulicante, appare ammassata e massificata, biologica e svuotata. Il rumore, la distorsione, la cappa di caldo, l’impossibilità di camminare serenamente a causa delle automobili (ma perchè così tante in un centro storico?), dei trolley, dei gruppi di turisti, dei furgoni neri - instancabili "traghettatori"...

Ma ho descritto il volto "ardente" di un cambiamento caratterizzato da numerosi risvolti, spesso tutt'altro che negativi. E che barba questo fiorentino che si lagna dei turisti!
Ad esempio a Firenze esiste, più che altrove, un turismo intellettuale: qualcuno che viene o che torna con l'idea di approfondire. Che magari compra dei libri: alcuni dei nostri ospiti sono curiosi, arguti, amorevoli.
Del resto, questo continuo ricambio di uomini e donne, questo andirivieni, offre svariate possibilità anche a chi non si occupa di turismo.
Insomma, c'è posto per tutti. Anche per noi, e forse per il fiorentino!


Riconoscerci nell'accogliere?

Noi accogliamo con serenità questa mutazione, l’abbiamo accettata - stiamo cambiando. La cittadinanza sta cambiando ed è sempre più cosmopolita, per l'influsso di vari fattori e l'afflusso di nuove genti.
Molti fiorentini sono persino entusiasti, si divertono, si arricchiscono, vedono un futuro. Per altri, invece, l'accettazione è frutto di un lungo lavoro su se stessi. Un lavoro non privo di traumaticità e di disillusioni. Talvolta di rabbia. Spesso di fughe (dalla città, popolando i paesi dei dintorni).
È in questo sottoinsieme di fiorentini "traumatizzati" che dovremmo cercare la fiorentinità che stiamo perdendo? Quella arcaica e maledetta, riottosa al cambiamento e sprezzante della propria estinzione? Per capirci, rimuginante ed ironica come non potresti mai essere con un turista?

Può darsi, ma ad una condizione: il fiorentino, se è fiorentino, sa distinguersi anche nel corso del suo estinguersi. Sa stare al gioco. Regisce a tutto questo, trova nuove letture e prospettive, guarda al futuro pigliando dal passato.
E sa scherzarci sopra, sa "volare alto" se necessario. Sa che in fondo siamo tutti turisti: soprattutto all'inferno.


Un esempio di fiorentinità

Pensiamo ora a Giovan Battista Gelli (1495-1563), uno studioso sul quale molti fiorentini non sanno niente o quasi. Eppure, se siamo quello che siamo, è grazie anche a gente come lui.

Se in epoca recente è stato possibile che avessero successo personaggi “di popolo” come certi intellettuali / comici, commedianti / filosofi ... e in generale ogni ricercatore libero di spirito, capace di distinguersi con ironia, sprezzante dei luoghi comuni del potere e dei tracciati irrevocabili del destino ... è grazie a chi aveva già collaudato una serie di modelli; a chi, già dal Rinascimento, aveva compiuto un certo tipo di percorso, attingendo dalla lezione degli antichi e dei maestri (Dante, Boccaccio) ma con intuizioni e soluzioni sempre nuove, perpetuamente ispirate e concilianti.

Di modeste origini, figlio di vinattieri e calzolaio di mestiere, Giovan Battista Gelli si dedicò sin da giovanissimo agli studi filosofici, guadagnando conoscenze e simpatie tra gli studiosi fiorentini e avviando un’importante produzione letteraria. Fatto decisivo è che costui non smise mai di fare il suo mestiere - certo non particolarmente aulico - e partecipare alla rispettiva corporazione.

Gelli raccontò spesso di personaggi impegnati in mestieri analoghi. Tra le sue opere più famose troviamo I capricci del bottaio (1546), ragionamenti fra un bottaio e la propria anima (che fu inserito nel primo Indice dei libri proibiti) e La Circe (1549), un dialogo fra Ulisse e i propri compagni trasformati in animali. Di questo poema è notevole la qualità filosofica quanto la carica ironica, una collezione di iconemi-animati del paesaggio mitologico (1), con un finale particolarmente evocativo.

Lo studioso frequentò l’Accademia Platonica e quella degli Umidi (poi Fiorentina, dal 1541), forte della sua emblematica immagine di artigiano-letterato. Nel settembre 1553 fu nominato da Cosimo I lettore ordinario della Commedia presso l’Accademia Fiorentina e recitò da quell’anno fino alla morte nove letture dantesche, pubblicate con cadenza annuale. Le letture gelliane ebbero grande influenza sugli interpreti di Dante durante tutto il Cinquecento fiorentino. (2)


Tra gli scritti del Gelli vi è il Trattatello sulle origini di Firenze, composto intorno al 1543 e dedicato a Cosimo I, in cui si ripercorre l’itinerario del legame tra Caldei/Aramei ed Etruschi/fiorentini e l'origine semitica di molte parole del volgare fiorentino. È evidente l’influenza degli Antiquitatum variarum di Annio da Viterbo, le cui suggestive ipotesi circolavano da decenni, riprese con moderato entusiasmo dagli scritti di Canisio e di Marmocchini (3)

Nel Trattatello è sostenuta la teoria della fondazione della prima civiltà post-diluviana in Toscana a  opera di Noè, identificato con Giano/Vertumno, portatore di una cultura anteriore a quella greco-romana ossia quella proto-etrusca. Un'ipotesi che oggi può sembrare folle, ma che genera al contempo un giocoso entusiasmo. E chissà che non sia sempre stato così: d'altronde, quando parliamo di Etruschi, spesso non stiamo parlando degli Etruschi! (4)

È altresì importante e decisivo il valore attribuito al volgare toscano, alla sua analisi e al suo progresso. Il punto è che si cercavano le origini, le radici di una civiltà, nei modi di dire del popolo, nella lingua del volgo.
L’aggiornamento di queste tesi mitico-linguistiche, nonostante le non poche perplessità (da parte del Varchi e poi del Borghini) offriva grande ispirazione ai ricercatori, e solida base propagandistica all’idea di uno Stato regionale toscano sotto l’egida dei Medici: siamo infatti negli anni in cui Cosimo estende il ducato di Firenze con l’intenzione di regnare sull’intera Etruria.

Gelli stesso è rappresentato ne Il Gello, scritto da Pierfrancesco Giambullari e dedicato appunto all'amico. I due compaiono, nello scenario di una Firenze surreale che potrebbe ricordare l'Atene dei filosofi, in un dialogo ricco di scambi d'idee e monologhi su Firenze, le sue origini, la sua lingua, gli Etruschi. Tutto questo avviene girellando per la città, in una sorta di “ovest di Paperino” erudita e ante litteram. Somigliando a strambe guide turistiche ispirate da un'acida mitologia.


Pensieri di luglio

Gelli muore il 24 luglio 1563, in una notte calda come quelle che viviamo in questi giorni. E chissà che sul letto di morte non abbia trovato il fiato per regalare qualche perla (sugli Etruschi? Sul dialetto fiorentino?) ai parenti, come fece il Perotti ... o anche i'mi nonno.

In questo luglio a venire, vogliamo ricordarcelo, i'Gello, quasi come fosse un parente. Quel babbo che non smette di sostenere qualche opinione sui nostri antichi; quel nonno innamorato di Firenze fino all'annullamento; quell'amico, che non vedo da un po', con cui abbiamo vagato per la città, nell'ore di buco, parlando e sparlando di storia, esoterismo, filosofia, paesaggio. Ma anche quell'amante un po' stronzo/a che ti dice come stanno le cose in modo diretto, con sinistra ironia, da cui potrai aspettarti tutto ma non certo d'essere fregato.

E ancora, da tutti loro potrai sempre aspettarti un qualche tipo di giochetto intellettualoide, un tranello da cui essere ripresi al volo, provando il brivido nell'ego o, comunque sia, chiudendo sempre con un'intuizione spiazzante. Quasi come se chi "gioca" volesse fuggire da qualcosa - senz'altro sfuggire da un confronto inautentico, sterile, indiretto.
Cos'è la fiorentinità? Non saprei definirla, e chi ha provato a scriverlo di solito era troppo pieno di sé: era denso come un fossile.
Ma se, per assurdo, fosse l'ironia a rendere l'anima immortale ... allora è quella che stiamo perdendo ed è per questo che sta appassendo la fiorentinità.


Epilogo - i Trolley

Il rumore costante dei trolley ci richiama a una cronologia irreversibile, ma al contempo può dare un senso di alienazione, d'alterità.
Si comincia a scavalcare trolley a primavera, per poi sentirli tutte le mattine passare sotto casa, all'alba. Firenze è la città dei trolley: il suolo stradale incerto ne fa reicheggiare le vibrazioni (attendiamo trolley cingolati, prima possibile).
I trolley parcheggiati, esposti in vendita, invadono via Faenza sino al centro della strada e fino ai limiti del pudore. Si moltiplicano i parcheggi per i bagagli in tutte le vie intorno alla Stazione. In alcune strade c'è un flusso costante, ai limiti del girone dantesco. Il flaneur, a Firenze, ha il trolley, e chi lo ha seguito ha scoperto che non arriva mai da nessuna parte ... che compie un perpetuo, irreversibile percorso circolare ...
L’idea che ci sia sempre qualcuno in partenza, qualcuno in arrivo, e noialtri qui.

Come arriveremo all'autunno!? Beh, poteva veramente andarci peggio, ci tocca solo ironizzare anche su questo.

LP
Fiorendipità

ogni primo Marte-dì del mese


Note

1) Ne ho parlato ne Il Fattore E, Press & Archeos, Firenze 2020
2) Rimando e in parte paragrafo da Etruschi e Rinascimento, Press & Archeos, Firenze 2018.
3) Ibidem.
4) Rimando ancora Il Fattore E, capitolo IX, p. 134 e seg.


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