Da Marte a San Zanobi. Fantasie su una colonna

La collina di Orsanmichele. Una continuità cultuale dagli Etruschi al Rinascimento

Fiorendipità,
dicembre 2023


Nell’ottobre scorso ho presentato alla Libreria Salvemini la nuova edizione del mio libro Il Cammino dell’Angelo, dedicato ai culti di San Michele sui monti tra Firenze e Siena. Un’occasione per parlare di linee temporanee, antichi sentieri, eremi nascosti nei boschi e tradizioni micaeliche perdute.
Prima d’iniziare la presentazione, chiacchierando con alcune guide turistiche presenti in sala, ho condiviso qualche idea sul rapporto tra Firenze e l’Arcangelo, dunque sul luogo di Orsanmichele. Questo mio articolo nasce da alcune impressioni e informazioni ricavate in passato, in parte riemerse durante la recente presentazione.

Diciamo subito che Or San Michele non si trova sulla fatidica Linea di San Michele, la quale “sorvola” i Monti del Chianti per poi lanciarsi nella direzione di Lucca e del Nordovest. Né pare significativo che nel XIV secolo i Capitani di Orsanmichele abbiano avuto interessi sul Monte San Michele in Chianti (1). Dunque lasciamo da parte le tipiche “apofenie micaeliche” e restiamo in città, dove questo luogo ha sempre rappresentato un riferimento tanto autorevole quanto intimo.
«Orsanmichele c’è solo a Firenze» scriveva Piero Bargellini, sottolineando la natura speciale e ambigua di un monumento eminentemente fiorentino, al contempo sacro e laico, chiesa e palazzo.

Ricordo, come credo possano ricordare in molti, la gita di classe alle scuole elementari o alle medie, il maestro che indica i condotti da cui discendeva (ma forse non discese mai) il grano conservato nei piani alti.
Ricordo d’aver provato a rifare l’edificio con il Lego, un po’ come si sarebbe costruita una cattedrale…ma vedendone uscir fuor un castellotto.
Ricordo anche e anzitutto i racconti di mia madre, nata nella vicina via Arte della Lana, che ebbe l’educazione cattolica nella parrocchia di Orsanmichele/San Carlo. Fu lei per prima a parlarmi di notevoli ambienti sotterranei in cui i cresimandi giocavano e si nascondevano, e di un corridoio che metteva in contatto le due chiese passando sotto via Calzaioli.

Con stupore anni fa, girando un documentario e intervistando alcuni esperti, ho trovato conferma all’esistenza di quegli ambienti. Ed ho conosciuto la teoria secondo la quale San Carlo e Orsanmichele costituivano già prima del Trecento un contesto a sé, collegato da sotterranei utilizzati da confraternite e corporazioni, forse da certi “templari”.
Guardando invece ai piani alti, c'è chi dice che il riferimento al grano fosse simbolico: grano come simbolo di costante rinascita e cuore stesso dell’anima della cittadinanza (2). L'interpretazione dipende forse dalla presenza delle Corporazioni, le cui cerimonie iniziatiche si svolgevano ai livelli superiori, dove quindi non fu conservato solo il frumento ma anche più d’un “segreto”.
Insomma a Orsanmichele, che si guardi sotto o sopra, alle sottotrame o alle sovrastrutture della Storia, sembra permanere qualche mistero legato ai fini pratici e teorici dell’edificio.

Ma un certo genere d’interpretazioni ci conduce anche troppo lontano, verso una visione elitaria e vagamente esoterica. E non è questa la prospettiva del mio scrivere, poiché l’appartenenza del monumento alla città e ai fiorentini può essere considerata in un’accezione più ampia e riunificante.
In particolare, nell'esistenza di questo “corridoio sotterraneo”, non ci trovo niente di così anomalo. Del resto, fantasticare su segrete funzionalità di fori e cunicoli può portare a distorsioni sempre meno soprenderti. E a rimetterci è soprattutto l'autenticità della ricerca.

L'approccio che trovo interessante è invece quello archeologico-speculativo, capace d’indagare, fosse solo teoricamente, la continuità sacrale nel luogo di Orsanmichele. Un fenomeno che avrebbe avuto inizio in tempi ancestrali, forse precedenti alla fondazione della colonia romana. Tanto che potremmo sostenere che Orsanmichele sia il luogo sacro più antico della città.
C’è da notare anzitutto che l’edificio si trova su un punto rialzato del terreno, quella che in antichità doveva essere una collinetta, relativamente interessata dalle esondazioni del fiume. Qui e in altri luoghi a maggiore (seppur lieve) altitudine dovevano sorgere, in epoca arcaica, diversi abitati. E forse sul colle di Orsanmichele esisteva già un piccolo tempio o un altare a uso delle genti dei dintorni.
Stiamo parlando di quei "villanoviani" che ebbero le loro necropoli non lontano dal futuro Orto di San Michele:  penso soprattutto alle urne rinvenute nella zona di piazza Repubblica, datate al X-VIII sec., e a molti altri rinvenimenti avvenuti nel centro storico (3).

I villaggi erano costituiti da capanne o poco più e furono cancellati dagli eventi naturali o assorbiti dalle urbanizzazioni che hanno livellato il suolo della città.
Ma nel luogo dello “sdrucciolo” di Orsanmichele (cioè via Arte della Lana) si annota il ritrovamento di un bronzetto, forse un ex voto riconducibile a una struttura religiosa. L’oggetto è molto simile ad un altro trovato negli scavi di Piazza Signoria ed entrambi somigliano a certi rivenuti nella zona dell’etrusca Gonfienti, presso Prato (4).

Secondo alcuni, il tempio sul colle di Orsanmichele avrebbe potuto rispondere a Mercurio, poiché già altrove i luoghi dedicati all’arcangelo Michele, generalmente posti ad una maggiore altitudine, presentavano una continuità con il Turms etrusco.
Per quanto concerne Florentia l’unico riferimento a Mercurio consiste nel frammento di un’iscrizione dedicata alla divinità e a sua madre Maia, proveniente dalla cantonata di via Strozzi, in fondo a via Vecchietti (5). L’iscrizione attesta la presenza di una tradizione "ermetica", ma il luogo non è prossimo a Orsanmichele.

In fin dei conti credo che la continuità di Michael, che «è come Dio» (6), con il mondo pagano coinvolga anche troppe divinità.
C’è chi associa l’Arcangelo a Mercurio per le doti psicagogiche, chi a Marte per le caratteristiche guerresche, chi ad Apollo a cui è titolato un certo tempio greco sulla Linea di San Michele, chi ad Ercole a cui Michele si sovrappose nell’ancestrale immaginario del mondo della pastorizia; e ancora, a Mitra che sconfigge le tenebre o ad Odino, perché i longobardi potessero rivedere il loro antico dio norreno in una figura cristiana ...
È comprensibile che molti si muovano in assoluta libertà pur di tracciare ipotesi e vari tipi di “linee”, e il santo-guerriero, con il suo dramma e i suoi paradossi, si presta ad essere strumentalizzato. Il sottoscritto non è stato esente da tale tentazione, pur procedendo con qualche prudenza.
Ma oggi, almeno per quanto concerne certe figure e argomenti particolari, questo tipo di associazioni mi stancano un po’. Forse perché ne ho fatte e viste fare sin troppe, o forse perchè intuisco la sintesi di qualche ombra. Comunque sia, in questo caso, mi piacerebbe camminare su un sentiero più aperto e condivisibile che propongo qui senza pretese d’esaustività.

Tornando al San Michele di Orsanmichele, sembra che già nell’Alto medioevo esistesse un piccolo oratorio con monastero femminile e terreni coltivati. Nella metà del VII secolo l’oratorio fu sostituito da una chiesa dedicata all’Arcangelo che fu detta “in Orto”. Ma questo fu anche il nome della chiesa di San Carlo, che assunse inizialmente la dedica a Michele, poiché la vecchia chiesa dovette far spazio alla loggia e al culto di Sant’Anna. San Carlo, con le sue fattezze trecentesche e vagamente templari, è parte integrante del complesso storico d’Orsanmichele.
Mi pare che proprio tra i due edifici si registri l’altitudine maggiore: forse la cima dell’antica collinetta. Un luogo in cui il culto dell’Arcangelo è persistito nonostante gli incendi, i sovvertimenti, i miracoli, le granaglie, le gramigne e l’affermazione di altri culti: Maria, sant’Anna, san Giorgio, san Carlo nonché le tradizioni specifiche delle corporazioni, le ritualità, le rievocazioni, le messiscene.
Orsanmichele è il luogo in cui, nonostante tutto, Michael continua a vincere le tenebre: un dramma fondamentale che richiede una costante rielaborazione nel credente e nel ricercatore; che risponde a un gesto guerresco nonché all’incipit di uno stato di fertilità.

Guardo ora alla tradizione dei grandi fiorentini del tardo medioevo e del Rinascimento, uomini ispirati e senza pace, spesso guerrafondai, così convinti che un tempo la città fosse stata “di Marte”; tanto da pensare che al Battistero, prima di san Giovanni, si celebrasse questa divinità; o che la vetusta statua di Diocleziano, visibile sul lungarno fino all’alluvione del 1333, rappresentasse invece il dio della guerra.
Sappiamo che quella di una Florentia “marziale” sia anzitutto una tradizione e che non esistano prove definitive, sebbene la città sia stata, come molte altre, fondata e abitata da veterani di guerra. Al contempo, se proviamo ad eviscerare la figura di Mars vediamo come, nel mondo italico-romano, costui avesse un ruolo assai più complesso che nel mondo greco, coinvolgendo i culti della terra, dell’agricoltura, della fertilità, dell’oltretomba e persino dei fenomeni atmosferici.
Non sono queste le circostanze per approfondire questa mitologia quanto necessiterebbe, finendo forse per distinguere Marte da Mari, Marems così come da Laran, presunto Mars etrusco. Tuttavia quest’ultimo compare, nelle iconografie, nell’atto di colpire con la lancia, in piena continuità iconografica con l’apoteosi del gesto micaelico...e questo ci è familiare, che si tratti o no di semplici immaginosità.
Aggiungo che, riconducibile a Laran, sarebbe un bronzetto ritrovato anch'esso nella zona di Piazza della Repubblica: la rappresentazione di un guerriero pronto a colpire (7).

Traslato nel nume cristiano, il dio-guerriero-benaugurale, che si chiamasse in un modo o nell’altro, ebbe forse un luogo di culto sulla collinetta, prossima all’Arno, sui cui si stanziarono le prime popolazioni che fecero le loro necropoli poco più a monte. Siamo nei primi secoli dell’ultimo millennio a. C.
Sappiamo poi che le alluvioni coprirono con uno spesso strato di fango le necropoli e gran parte degli abitati villanoviani. Ma appunto, la collinetta avrebbe potuto continuare ad essere un riferimento chiaro, e forse non mancò mai qualche presenza umana/cultuale.
Seguirono gli Etruschi con nuovi villaggi e, nel corso del sinecismo che condusse alla fondazione della città romana, la collina del dio avrebbe potuto continuare a essere rispettata, affidata a uomini o donne del clero. 

Mi concedo di fantasticare ancora qualche riga.

Con passare del tempo e l'affollarsi della città, l’antico nume italico ebbe bisogno di nuovo spazio ed altra localizzazione. Pensando a Marte, l’archeologia ci suggerisce che il tempio della Firenze romana si trovasse fuori le mura, presso la Porta Aquilonarum dove ora esiste San Lorenzo. Un po’ com’è il caso di Michael, che con il trascorrere dei secoli predilesse sempre più luoghi esterni alle mura cittadine, spedali, magioni, eremi.
Nel frattempo, l’antico luogo di culto divenne casa di vestali: per i romani esisteva consuetudine tra Mars e le sacerdotesse di Vesta dato che Rea Silvia, madre di Romolo, fu fecondata dal dio stesso.
Nel vecchio Orto di San Michele troviamo ancora, nell’Alto medioevo, un monastero femminile: un possibile, curioso segno di sincretismo.

Così la mia proposta è quella di rivedere in Orsanmichele il più antico luogo di culto di Firenze. Culto del “come-Dio”, quindi della funzionalità divina nel suo fondamento primigenio e d’ispirazione alla condotta del credente.
E, fantasticando su una sincretismo di questo genere, perché non pensare proprio a quel Marte ricordato dai padri, che non è tanto/solo Mars quanto il paradigma del nume cittadino, atavico e italico-nazionale.

Al fiorentino che cerca Firenze nelle sue radici più profonde, consiglio un giro a Orsanmichele che dovrebbe riaprire proprio in questo periodo, dopo una lunga chiusura per lavori d’adeguamento...e le immancabili proroghe del caso.

Lorenzo Pecchioni
Fiorendipità. Ogni primo Marte-dì del mese
su questo blog e i canali di Press & Archeos



Note

1) L. Pecchioni, I Sentieri di San Michele, 2013, p. 56.
2) È un’interessante interpretazione di Mario Pagni, espressa in alcune conferenze e nel documentario I templari di Firenze.
3) «La necropoli si estendeva dall’attuale via Pellicceria fino a Via del Campidoglio, comprendente la zona di Calimala, Via Sassetti, Via Vecchietti, Via Strozzi, per un’area di quasi quattromila metri quadrati. Il ritrovamento fu casuale. Gli orci o ziri riportati alla luce furono una ventina, ma per esplicita ammissione di chi soprintendeva ai lavori, molti altri andarono distrutti  (…)», G. Spini, E. Pecchioni, Firenze etrusca, 2011 p. 43.
4) Si tratta di statuette «di ascendenza geometrica, con influssi greco orientali, databili tra la metà e la fine del VII secolo a.C. (...) la loro destinazione ad una funzione votiva pare attestare, negli spazi orientali di piazza Signoria, la presenza di un'area di culto di un certo rilievo e significato, vista la concomitanza di un guado e di un punto di snodo viario e commerciale». Da Atlante Archeologico di Firenze, a cura di M. Pagni, 2011, p. 78.
5) Enio Pecchioni, articolo su Il Grillo Fiorentino, n. I, 2007.
6) L'ebraico Michaël è interpretabile come: “Chi è come Dio?” Vedi anche Wikipedia, v. 'Arcangelo San Michele'
7) G. Spini, E. Pecchioni, Firenze Etrusca, 2011, p. 42
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