in data
fantasie
leggende
orsanmichele
rose
tabernacoli
- Ottieni link
- X
- Altre app
Il giro del mercato immobiliare è uno degli aspetti più significativi della vita nella città di Firenze. Questo non tanto per il valore economico degli immobili (a tal proposito, secondo l’osservatorio di Immobiliare.it, Firenze è seconda solo a Milano e Bolzano) ma soprattutto per il ruolo che le case possono ricoprire nella progettualità dei fiorentini e per la qualità dei fattori che agiscono in proposito.
Mi riferisco anzitutto alla possibilità d’affittare un appartamento a
fini turistici. I cittadini che ne hanno uno disponibile possono, più
che altrove, impiegarlo in una vera e propria attività attraverso airbnb
e simili. Pur dedicandovi molto impegno e scontrandosi con spese,
adempimenti e ordinanze, si può dire che a Firenze una casa è lavoro,
e che possa rappresentare più di una semplice rendita. Questa opzione è
talmente vivida da spingere alcuni, residenti in appartamenti nei
pressi del centro, a uscirne, pubblicarli sui siti turistici, affittarli
e trovare un posto più piccolo o decentrato dove vivere. Ma è solo
esempio delle tante convenienze in gioco.
Se questi aspetti
possono svalutare un approccio diciamo “affettivo” all’immobile, d’altro
canto la speculazione immobiliare e la “dittatura degli affitti brevi”
ha generato un movimento che rimette al centro l’importanza della casa
come diritto, e della residenza come valore in sé, paventando il rischio
di una perdita d’identità cittadina. Diritto, residenza, identità:
valori antichi che a Firenze possono mostrare facilmente le proprie
radici nel passato atavico, attraverso molteplici tradizioni e un
carattere popolare talvolta arcigno e intransigente.
A riagganciarsi, per così dire, “al medioevo”, è un’altro fattore che
agisce sulla dimensione immobiliare fiorentina. Sembra infatti che negli
ultimi mesi il valore degli appartamenti sia in lieve calo, proprio
nelle zone ai margini del centro, a causa di un aumento della piccola
criminalità (si tratta di dichiarazioni recenti, inoltrate da Confai e
Fimaa, vedi).
Possiamo
collegare questi dati all’eccesso di turismo e quindi all’inconsistenza
del “tessuto di residenza” che si è fatto più rarefatto, con
conseguente mancanza di “cittadinanza attiva”. Ma al contempo è indubbio
che ci sia poco “controllo” delle strade e che molte persone, venute
chissà da dove, vivacchino qua e là. E chissà che guardare al passato e
ad epoche più oscure possa darci davvero qualche chiave di lettura
interessante.
Così, un po’ come nel medioevo, il “cittadino
normale” che abita, ad esempio, in San Jacopino, si ritrova ad attuare
strategie difensive di vario tipo. Non uscire oltre una certa ora, o
svuotare il portafogli prima di farlo. Lanciare occhiate furtive dalla
finestra a ogni esclamazione proveniente dalla strada. Rinforzare i
portoni, installare occhi elettronici. E così via. Mentre la Casa,
nonché il sentimento evocato da questo concetto, attraversa
smaterializzazioni, “frazionamenti”, valutazioni sorprendenti e
molteplici che non avremmo mai pensato di fare.
Preso atto di
tutto questo e rielaborando al chiaroscuro della Storia, trovo
significativo che proprio la città di Firenze, con tutta la sua
problematica identitaria-immobiliare sia il luogo dove è esistito, ed
esiste, l’immobile su cui si è dibattuto di più, almeno fino al secolo
scorso, in fatto di ricerca storica, d’archivistica catastale, di storia
del diritto di proprietà…o addirittura in senso sacrale.
Mi riferisco inevitabilmente alla casa del più illustre degli italiani: Dante Alighieri.
Nel
XIX secolo, dopo molte decadi d’iniziative e dibattiti, il luogo natio
del Sommo Poeta fu trasmutato (non riesco a trovare altro verbo)
nell’attuale Casa di Dante. La questione, trattata oggi con
comprensibile sufficienza, a volte con approssimazione o leggerezza
poiché “non è poi così importante dove il Sommo Poeta abitasse
fisicamente”, fu arginata e definita, per quanto possibile, da Michele
Barbi e Renato Piattoli negli anni ’30, a partire dalle fonti storiche e
catastali. Eppure, anche in tempi recenti, il problema della Casa di
Dante è stato inoltrato da autori del calibro di Alessandro Barbero che
vi ha dedicato un bel capitolo nel suo libro su Dante. Segno che non
tutto sia stato chiarito o che, più precisamente, quel “chiaroscuro”
possa essere in qualche modo significativo. Ma non perdiamo di vista la
prospettiva immobiliare.
La storia, appunto immobiliare, dei casamenti del rione di via San
Martino, via de’ Bischeri, via de’ Magazzini e dei vicoli adiacenti
consiste in un groviglio di dati storici specifici e spesso tecnici. Per
quanto in passato il concetto di proprietà avesse contorni assai più
sfumati, riusciamo a intravedere il valore economico che un fondo, una
dimora sopraelevata, una cantina o una “stufa” (luogo adibito a bagno
pubblico) potessero avere in quell’epoca. Probabilmente gli stessi
Alighieri costruirono e “frazionarono”, un po’ come fanno tanti
proprietari odierni per ragioni varie.
Possiamo immaginare una città
brulicante di personaggi provenienti da ogni dove e impiegati nelle
numerose arti, botteghe, gendarmerie ecc., dunque una costante necessità
d’ospitalità che si traduceva in affitti, subaffitti, comodati elargiti
da enti e parenti, corporazioni, confraternite e istituzioni
ecclesiastiche (com’è il caso dei monaci della Badia Fiorentina, ai
margini del quartiere dantesco).
In altre parole, s’intravede l’intenzione, da parte di singoli e di gruppi, d’un investimento sulle case e sull’ospitalità.
D’altro
canto, anche nel medioevo, la casa è un luogo desiderato e protetto per
un misterioso affetto nei confronti di “mura” irripetibili e peculiari.
È la casa avita che Piero Alighieri cerca d’ottenere, poiché proprietà
dei discendenti di Cacciaguida e quindi del padre. È il possedimento che
può essere incendiato per indebolire lo spirito dei nemici della
propria fazione. Ed è, quella di Dante, la casa che i dantisti del XIX
secolo cercano urgentemente di localizzare e ricostruire, come fosse
stato il luogo di scaturigine di una manifestazione quasi
soprannaturale. Ma è pure quella casa “altra”, ipotetica e sfuggente,
che Gorgio Piranesi inseguì, annaspando nell’ambiguità
dei documenti, da qualche parte in via de’ Magazzini quindi ben lungi
dall’attuale Casa-Museo (è chiaro come, in questo caso, poche decine di
metri corrispondano a distanze iperuranie…).
Il punto è che ad essere importanti furono proprio quelle mura ideali, anche quando rimosse a favore d’altre ben più reali.
Così,
oggi come ieri avvertiamo la stressante dicotomia tra convenienza e
affetto, tra reddito e anima. E la storia dell’antica casa di Dante
potrebbe offrirsi come emblema a certi paradossi, in fondo così attuali.
Con la sua storia frammentaria e articolata. Nel rapporto complesso con
i fiorentini, ma anche con il turismo più intellettuale. Nella diatriba
tra i ricercatori Piranesi e Barbi (quasi come fossero cuginastri che
accampano progetti diversi sullo stesso immobile ideale). E insomma, tra
le ombre di una crisi identitaria, quindi di residenza, che investe
l’intero Quartiere 1.
Nonostante tutto questo che, salvo
paranoie, resta solo “questione di mura” e dunque poca cosa (o quando si
parla di Dante, “poca cosa” non dovrebbe essere mai?), la dimensione
della conoscenza e della ricerca sull’Immobile per antonomasia, la vera
Casa del Poeta, viene generalmente elusa. Anche quando potrebbe
offrirsi, appunto, come semplice approfondimento storico ed
esistenziale: non come rivendicazione di questioni antiche ma come
avventura di ricerca, come caparbio esercizio da eruditi o ardita
digressione storiografica.
Com’è avvenuto per l’ “archistoria” della “nuovissima” casa di Dante a cura di G. C. Romby, e in pochi altri casi.
Solo ad esempio, durante l’Anno Dantesco, nonostante le pubblicazioni e i documentari, non si è avvertita la necessità di realizzare e divulgare ricostruzioni (virtuali o d'altro genere) della situazione medievale dell'attuale piazza San Martino. La quale per un certo periodo, con il suo “grande fico” e anche dopo che questo fu tagliato, dovette rappresentare per gli Alighieri una sorta di corte posta dietro alla chiesa, il cui abside si trovava dove ora c’è l’ingresso - perché è indubbio che i discendenti di Alighiero ebbero case anche al di là della piazzetta, nell'attuale via de’ Magazzini; e che un ramo della famiglia abitò lì.
Nel frattempo case, vicoli e piazze sono “svalutate” dall’invasione turistica e poi, ancora una volta, dal degrado.
Il
vicolo dello Scandalo, luogo curioso e avvolgente, è chiuso al pubblico
ormai da tempo perché i vagabondi lo usavano come dormitorio. Ed ancora
in questo “turisticìssimo” settembre del 2023 abbiamo potuto vedere, al
mattino presto, incolpevoli senzatetto dormire sotto il busto del Poeta, accanto
al pozzo romantico, in apparente assenza di “controlli”.
Si potrebbe
eclamare: “più medioevo così!” ma diciamolo, un Alighieri non l’avrebbe
permesso e…credo che avrebbe lanciato la classica “secchiata” dalla
finestra.
O forse, quella secchiata, non sarebbe caduta dove ora c’è il pozzo, ma qualche decina di metri più in là?!?
Lorenzo Pecchioni
Fiorendipità. Ogni primo Marte-dì del mese
su Press & Archeos
La ricerca sulla Casa di Dante
https://amzn.eu/d/2RMci0z
Commenti
Posta un commento