Da Marte a San Zanobi. Fantasie su una colonna

La Firenze immobiliare e la Casa di Dante

Fiorendipità,
novembre 2023

Il giro del mercato immobiliare è uno degli aspetti più significativi della vita nella città di Firenze. Questo non tanto per il valore economico degli immobili (a tal proposito, secondo l’osservatorio di Immobiliare.it, Firenze è seconda solo a Milano e Bolzano) ma soprattutto per il ruolo che le case possono ricoprire nella progettualità dei fiorentini e per la qualità dei fattori che agiscono in proposito.

Mi riferisco anzitutto alla possibilità d’affittare un appartamento a fini turistici. I cittadini che ne hanno uno disponibile possono, più che altrove, impiegarlo in una vera e propria attività attraverso airbnb e simili. Pur dedicandovi molto impegno e scontrandosi con spese, adempimenti e ordinanze, si può dire che a Firenze una casa è lavoro, e che possa rappresentare più di una semplice rendita. Questa opzione è talmente vivida da spingere alcuni, residenti in appartamenti nei pressi del centro, a uscirne, pubblicarli sui siti turistici, affittarli e trovare un posto più piccolo o decentrato dove vivere. Ma è solo esempio delle tante convenienze in gioco.

Se questi aspetti possono svalutare un approccio diciamo “affettivo” all’immobile, d’altro canto la speculazione immobiliare e la “dittatura degli affitti brevi” ha generato un movimento che rimette al centro l’importanza della casa come diritto, e della residenza come valore in sé, paventando il rischio di una perdita d’identità cittadina. Diritto, residenza, identità: valori antichi che a Firenze possono mostrare facilmente le proprie radici nel passato atavico, attraverso molteplici tradizioni e un carattere popolare talvolta arcigno e intransigente.


A riagganciarsi, per così dire, “al medioevo”, è un’altro fattore che agisce sulla dimensione immobiliare fiorentina. Sembra infatti che negli ultimi mesi il valore degli appartamenti sia in lieve calo, proprio nelle zone ai margini del centro, a causa di un aumento della piccola criminalità (si tratta di dichiarazioni recenti, inoltrate da Confai e Fimaa, vedi).
Possiamo collegare questi dati all’eccesso di turismo e quindi all’inconsistenza del “tessuto di residenza” che si è fatto più rarefatto, con conseguente mancanza di “cittadinanza attiva”. Ma al contempo è indubbio che ci sia poco “controllo” delle strade e che molte persone, venute chissà da dove, vivacchino qua e là. E chissà che guardare al passato e ad epoche più oscure possa darci davvero qualche chiave di lettura interessante.

Così, un po’ come nel medioevo, il “cittadino normale” che abita, ad esempio, in San Jacopino, si ritrova ad attuare strategie difensive di vario tipo. Non uscire oltre una certa ora, o svuotare il portafogli prima di farlo. Lanciare occhiate furtive dalla finestra a ogni esclamazione proveniente dalla strada. Rinforzare i portoni, installare occhi elettronici. E così via. Mentre la Casa, nonché il sentimento evocato da questo concetto, attraversa smaterializzazioni, “frazionamenti”, valutazioni sorprendenti e molteplici che non avremmo mai pensato di fare.

Preso atto di tutto questo e rielaborando al chiaroscuro della Storia, trovo significativo che proprio la città di Firenze, con tutta la sua problematica identitaria-immobiliare sia il luogo dove è esistito, ed esiste, l’immobile su cui si è dibattuto di più, almeno fino al secolo scorso, in fatto di ricerca storica, d’archivistica catastale, di storia del diritto di proprietà…o addirittura in senso sacrale.
Mi riferisco inevitabilmente alla casa del più illustre degli italiani: Dante Alighieri.

Nel XIX secolo, dopo molte decadi d’iniziative e dibattiti, il luogo natio del Sommo Poeta fu trasmutato (non riesco a trovare altro verbo) nell’attuale Casa di Dante. La questione, trattata oggi con comprensibile sufficienza, a volte con approssimazione o leggerezza poiché “non è poi così importante dove il Sommo Poeta abitasse fisicamente”, fu arginata e definita, per quanto possibile, da Michele Barbi e Renato Piattoli negli anni ’30, a partire dalle fonti storiche e catastali. Eppure, anche in tempi recenti, il problema della Casa di Dante è stato inoltrato da autori del calibro di Alessandro Barbero che vi ha dedicato un bel capitolo nel suo libro su Dante. Segno che non tutto sia stato chiarito o che, più precisamente, quel “chiaroscuro” possa essere in qualche modo significativo. Ma non perdiamo di vista la prospettiva immobiliare.

La storia, appunto immobiliare, dei casamenti del rione di via San Martino, via de’ Bischeri, via de’ Magazzini e dei vicoli adiacenti consiste in un groviglio di dati storici specifici e spesso tecnici. Per quanto in passato il concetto di proprietà avesse contorni assai più sfumati, riusciamo a intravedere il valore economico che un fondo, una dimora sopraelevata, una cantina o una “stufa” (luogo adibito a bagno pubblico) potessero avere in quell’epoca. Probabilmente gli stessi Alighieri costruirono e “frazionarono”, un po’ come fanno tanti proprietari odierni per ragioni varie.
Possiamo immaginare una città brulicante di personaggi provenienti da ogni dove e impiegati nelle numerose arti, botteghe, gendarmerie ecc., dunque una costante necessità d’ospitalità che si traduceva in affitti, subaffitti, comodati elargiti da enti e parenti, corporazioni, confraternite e istituzioni ecclesiastiche (com’è il caso dei monaci della Badia Fiorentina, ai margini del quartiere dantesco).
In altre parole, s’intravede l’intenzione, da parte di singoli e di gruppi, d’un investimento sulle case e sull’ospitalità.

D’altro canto, anche nel medioevo, la casa è un luogo desiderato e protetto per un misterioso affetto nei confronti di “mura” irripetibili e peculiari. È la casa avita che Piero Alighieri cerca d’ottenere, poiché proprietà dei discendenti di Cacciaguida e quindi del padre. È il possedimento che può essere incendiato per indebolire lo spirito dei nemici della propria fazione. Ed è, quella di Dante, la casa che i dantisti del XIX secolo cercano urgentemente di localizzare e ricostruire, come fosse stato il luogo di scaturigine di una manifestazione quasi soprannaturale. Ma è pure quella casa “altra”, ipotetica e sfuggente, che Gorgio Piranesi inseguì, annaspando nell’ambiguità dei documenti, da qualche parte in via de’ Magazzini quindi ben lungi dall’attuale Casa-Museo (è chiaro come, in questo caso, poche decine di metri corrispondano a distanze iperuranie…).
Il punto è che ad essere importanti furono proprio quelle mura ideali, anche quando rimosse a favore d’altre ben più reali.

Così, oggi come ieri avvertiamo la stressante dicotomia tra convenienza e affetto, tra reddito e anima. E la storia dell’antica casa di Dante potrebbe offrirsi come emblema a certi paradossi, in fondo così attuali. Con la sua storia frammentaria e articolata. Nel rapporto complesso con i fiorentini, ma anche con il turismo più intellettuale. Nella diatriba tra i ricercatori Piranesi e Barbi (quasi come fossero cuginastri che accampano progetti diversi sullo stesso immobile ideale). E insomma, tra le ombre di una crisi identitaria, quindi di residenza, che investe l’intero Quartiere 1.

Nonostante tutto questo che, salvo paranoie, resta solo “questione di mura” e dunque poca cosa (o quando si parla di Dante, “poca cosa” non dovrebbe essere mai?), la dimensione della conoscenza e della ricerca sull’Immobile per antonomasia, la vera Casa del Poeta, viene generalmente elusa. Anche quando potrebbe offrirsi, appunto, come semplice approfondimento storico ed esistenziale: non come rivendicazione di questioni antiche ma come avventura di ricerca, come caparbio esercizio da eruditi o ardita digressione storiografica.
Com’è avvenuto per l’ “archistoria” della “nuovissima” casa di Dante a cura di G. C. Romby, e in pochi altri casi.

Solo ad esempio, durante l’Anno Dantesco, nonostante le pubblicazioni e i documentari, non si è avvertita la necessità di realizzare e divulgare ricostruzioni (virtuali o d'altro genere) della situazione medievale dell'attuale piazza San Martino. La quale per un certo periodo, con il suo “grande fico” e anche dopo che questo fu tagliato, dovette rappresentare per gli Alighieri una sorta di corte posta dietro alla chiesa, il cui abside si trovava dove ora c’è l’ingresso - perché è indubbio che i discendenti di Alighiero ebbero case anche al di là della piazzetta, nell'attuale via de’ Magazzini; e che un ramo della famiglia abitò lì.

Nel frattempo case, vicoli e piazze sono “svalutate” dall’invasione turistica e poi, ancora una volta, dal degrado.
Il vicolo dello Scandalo, luogo curioso e avvolgente, è chiuso al pubblico ormai da tempo perché i vagabondi lo usavano come dormitorio. Ed ancora in questo “turisticìssimo” settembre del 2023 abbiamo potuto vedere, al mattino presto, incolpevoli senzatetto dormire sotto il busto del Poeta, accanto al pozzo romantico, in apparente assenza di “controlli”.
Si potrebbe eclamare: “più medioevo così!” ma diciamolo, un Alighieri non l’avrebbe permesso e…credo che avrebbe lanciato la classica “secchiata” dalla finestra.
O forse, quella secchiata, non sarebbe caduta dove ora c’è il pozzo, ma qualche decina di metri più in là?!?

Lorenzo Pecchioni
Fiorendipità. Ogni primo Marte-dì del mese
su Press & Archeos 



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