Rifiuti a Firenze: archeologia, politica e concettualità
L’11 maggio del 1969 la Fiorentina vinse di fatto il suo secondo scudetto battendo la Juventus due reti a zero.
La città era in festa. Un mio parente — che aveva goduto di una certa fortuna e era stato bravo a metterla a frutto — fece avvolgere completamente l'edificio della sua azienda con un tessuto di colore viola.
La Fiorentina era una squadra brillante, rifletteva le energie di una città dinamica nelle idee e nei fatti, nel lento ma testardo recupero da quell’Alluvione che ne aveva duramente colpito l’anima, ma anche aumentato la fama. Mio padre e i suoi coetanei trovavano e cambiavano lavoro con una certa facilità, l’artigianato era in crescita e il turismo, sebbene ancora a misura d’uomo, era già un punto di forza, ben lungi dall’inghiottire tutto il resto.
Era, per così dire, la città degli “Amici miei” — quelli del film, ma che avrebbero potuto essere gli amici di mio nonno —. Figli di una Firenze che si era rialzata dal fango e dai detriti per la seconda volta in meno di un quarto di secolo, brulicante d’intenzionalità, spesso presuntuosa e sarcastica ma anche operosa e geniale, soprattutto ancora indipendente: non assorbita nell’immagine di sé stessa.
Bancari pittori, dirigenti poeti, ortolani filosofi, operai esistenzialisti, filosofi centravanti o boxeur, calcianti snelli e veloci … eravamo noialtri. La sera questi “amici” si trovavano a giocare a carte e a bere amari, i bar erano pieni di avventori, le librerie erano il quadruplo d’adesso, frequentate da lettori avidi d'informazioni e di letteratura internazionale …
… Eccetera, eccetera. Quella Firenze, perdutamente novecentesca, è evidentemente una mia, nostra idealizzazione! e in realtà portava in sé molte delle cose pessime che ci contraddistinguono da sempre.
Viene comunque da chiedersi cosa resti di quell’ideosa idea di città, oggi che esco e vedo soprattutto turisti e cose per turisti, molta gente allo sbando nel mio quartiere, più violenza (questo è accertato) e, spesso, un bel po’ di monnezza qua e là. Se poi, per caso o per vicinato, s’incontra un fiorentino di nostra conoscenza, è raro non raccogliere lamenti sulla situazione. A parte la Fiorentina che rischia di retrocedere in B.
Si dica pure che vivo in una zona un po’ sfigata e che la mia, almeno in parte, è una visione prospettica. Tuttavia visti gli anni trascorsi, la non più gioventù e l’evidenza di un certo grado di peggioramento (denunciato da più parti, come un articolo pubblicato due giorni fa su Il Fatto), penso sia lecito e doveroso chiedersi cosa sia effettivamente avvenuto nelle ultime decadi. Se vi siano delle cause definibili; se sia possibile individuare qualche responsabilità.
Tralasciando per ora scippi e reati di vario genere, tra i problemi che si verificarono un tempo e tendono a ripresentarsi ciclicamente esiste appunto — sebbene meno marcato rispetto ad altri periodi — quello dei rifiuti.
Ad esempio, i rifiuti che vedo spesso traboccare dai cassonetti sotto casa mia e in molti altri luoghi del Centro. Tirati fuori dai barboni che cercano cibo e merci possibili; o abbandonati accanto perché non tutti, comprensibilmente, sono in possesso delle pietose chiavette; o semplicemente “esplosi” perché non c’è più spazio nei cassonetti, come avviene spesso a fine weekend, soprattutto nei periodi in cui il "turistodromo" è più attivo — ma anche sotto Natale, quando c'è più consumi e più disperazione.
Se vogliamo, i rifiuti invitano sempre, in modi diversi, a una riflessione. E dai rifiuti si può forse ripartire, trattandosi in fondo di archeologia: una possibilità di comprensione dei contesti sociali, persino politici. L’archeologia si occupa della ricostruzione del passato — quindi fino a ieri sera, quando ho buttato la monnezza. Al contempo, il disagio nel trovare spazio ai miei scarti rianima la coscienza (storica, nel mio caso) di cittadino.
Cosa sarebbe la politica senza rifiuti? E ancor più, cosa sarebbe l’archeologia senza bottini, discariche e tesoretti?
Ho conosciuto archeologi letteralmente eccitati dalle discariche dei nostri antichi. Si tratta in fondo di depositi di informazioni, e l’informazione è potenza.
Un giorno forse, in qualche fiorendipitòso bottino medievale, troveremo un rifiuto capace di provare dove abitava Dante, o la presenza dei “templari” in un luogo piuttosto che in un altro. O forse è già successo, ma i templari si sono tenuti il rifiuto per sé!
Se m’imbatto in un cassonetto circondato dai sacchetti esplosi, non riesco a non osservarli con lugubra curiosità. In modi diversi, denunciano qualcosa di più preciso su ciò che sta avvenendo. Sono indicativi, nella loro qualità, quantità, disposizione, enigmaticità. Ci sarebbe molto da dire sull’ontologia del rifiuto, non solo sulla sua antropologia.
Più semplicemente, devo notare che spesso i rifiuti di Firenze non sono più i nostri, ma sono in gran parte i rifiuti del turismo.
E quindi, cosa resta di una “cittadinanza” che non ha modo di riflettersi nella propria nettezza? Un diritto indicibilmente perduto.
All’inizio degli anni ’70 possiamo immaginare una città travolta dal problema dei rifiuti, anche e soprattutto in senso politico.
Recentemente, a Palazzolo sul Senio, sono stati condotti accertamenti e avviati procedimenti dopo che una vecchia discarica è franata dalla sua collina nel fiume adiacente (1). Ecco, quei rifiuti provenivano da Firenze. Era la monnezza dei nostri nonni, gli scarti dell’operosa cittadinanza; degli “amici miei”, degli “eredi di Dante”, templari e non.
Al tempo il sindaco di Firenze era Luciano Bausi della Democrazia Cristiana, espressione di una città istituzionalizzata e moderata, intraprendente ma tutt’altro che progressista.
Una città che, appunto, si stava riprendendo dall’Alluvione e che riscopriva in quel disastro la potenza della sua risorsa più grande. La città di quella Fiorentina che si giocava lo scudetto ogni anno. Una città travolta, come molte altre, dal consumismo, anche e soprattutto nelle ripercussioni urbanistiche poiché impressa su uno stampo medievale e quindi soggetta a seri problemi di smaltimento.
Il sindaco cercò soluzioni al di fuori del comune fiorentino, puntando prima sulle periferie, poi soprattutto sul Mugello, ma incontrando la decisa resistenza delle amministrazioni locali, generalmente rosse e intransigenti. Immaginiamo così una Firenze, apparentemente moderata, circondata da una “cortina rossa”, forte dei primi vagiti di un ambientalismo consapevole.
Una prima svolta si ebbe già nel 1971, appunto nell’accordo con Palazzolo sul Senio, per quanto anche là il popolo insorse con occupazioni e blocchi. I sindaci accusarono Firenze di voler “colonizzare l’Appennino” con la propria monnezza. Ma gran parte della “merce” era già stata consegnata, e oggi eccola là a galleggiare nel Rovigo.
La rocambolesca operazione fu un pretesto per critiche interne al centro-destra, con la verace destra fiorentina (MSI, Fronte della Gioventù) che si scagliò contro il sindaco accusandolo di fallimento nella pianificazione urbana e nella tutela del territorio. Tuttavia, non sembra che i missini avessero una concreta proposta alternativa: si trattò anzitutto di propaganda.
Immobilità a sinistra, inutili slogan a destra, un film destinato a ripetersi?
Il problema dei rifiuti a Firenze si risolse lentamente nelle decadi successive, fino alla creazione di consorzi capaci di coinvolgere i comuni dell’hinterland e con una maggiore sinergia del complesso metropolitano.
La questione dei rifiuti d’inizio anni ’70 ebbe senz’altro un ruolo nel logorare il consenso della DC, e favorire la svolta politica della città con l’elezione, nel 1974, del nuovo sindaco Elio Gabbuggiani. I rifiuti avevano indicato il sentiero da percorrere.
Gabbuggiani, fiorentino di nascita, fu un sindaco innamorato della città come il suo predecessore, ma con inclinazioni più chiare e con una maggiore attenzione agli aspetti urbanistici, ai servizi pubblici e alla partecipazione democratica. Favorì la rinascita culturale della città, con la riqualificazione delle Murate, le feste dell’Unità alle Cascine, e convegni di respiro (rosso) internazionale.
Nonostante (o in seno) a tutto questo, la città cominciava la sua lenta abdicazione alla principale fonte di sostentamento che gli “amici miei” hanno oggi: il turismo.
Ecco un’altra impressione non nuova. Mentre si dice di fare “cultura”, una certo stereotipo ci diluisce e ci livella e, in questo caso, ben si confà al turismo di massa.
Alla fine il turismo inghiottirà tutto o quasi. Se non lo ha già fatto, probabilmente inghiottirà anche chi legge. E certo, chi scrive. Non che sia una catastrofe, anzi ci sarebbe del buono e divertente. Ma qui a Firenze, indubbiamente, qualcosa non ha funzionato.
Dopo la parentesi massonica/repubblicana di Bonsanti e Conti, nella Firenze di Bogiankino come in anni più recenti molti fattori di potere s’intrecciano tra loro e alcune entità continuano ad aleggiare, non solo tra le righe. Destra o sinistra, forse non c’entrano molto, anche se quello è il film che scorre sullo sfondo e che si deve saper commentare.
Potrebbe così emergere il sospetto che il Problema, se non recondito e costituivo, sia comunque cronico, ormai da molto tempo. Che un certo livello “corticale” della cittadinanza non sia più nelle condizioni di agire, mentre un altro, più profondo, prosegua su un binario antico e per certi versi misterioso. Nel mezzo, una specie di buco nero che si sta espandendo.
Con qualche tifoso viola che annaspa senza sapere perché.
Chissà che, in tutto questo, certe chimere tornino a rifarsi vive; e alcune questioni vecchie di secoli, residui d’idee e concetti difficili da smaltire o impossibili da decomporre, si riaffaccino nel quadro storico-politico della città.
Tra quelle chimere, potrebbero esserci i “responsabili”.
Fiorendipità
ogni primo Marte-dì del mese



