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Penso che oggi i ricercatori storici, gli appassionati e i turisti più curiosi, vivano Firenze in una sorta di stato d’apnea.
Il quotidiano urbano è caotico o addirittura insostenibile — la città è diventata una bolgia turistica-consumistica — e molti dettagli interessanti, doni speciali della storia e dell'arte, sono sommersi dall’accumulazione e dal frastuono.
È forse per questo che le “curiosità fiorentine” (di cui si sono occupati centinaia di scrittori, senza tuttavia estinguere né la miniera né le sue interpretazioni possibili) rappresentano “momenti di respiro” dopo tragitti compiuti, appunto, con il fiato sospeso.
La città assurge al ruolo di metafora salvifica in cui il ricercatore costruisce, con il passo ma anche con lo scritto, una rete di nodi d’approdo, varchi per una supposta realtà di fondo a cui si lega intimamente, sorridendo a sé stesso.
Del resto, raramente conosceremo i motivi personali che lo hanno condotto a certe infatuazioni, ed è improbabile che esse siano realmente condivisibili. Come se costui seguisse delle costellazioni d'eventi storici, talvolta marginali ma che messi insieme creano un significato (ossigeno per l’anima), indicando una direzione (il varco); e il nume che troviamo laggù, dentro e oltre la constellazione, è fatto spesso d'un tessuto ulteriore alla storia stessa.
La battaglia, l’apostolo, il poeta
Oggi pressoché ignorata dal turismo, la chiesa di San Barnaba fu voluta dal Capitolo di San Lorenzo dopo la vittoria nella Battaglia di Campaldino, avvenuta l’11 giugno 1289.
Dobbiamo immaginare la profonda commozione, fierezza e dunque intraprendenza di quei fiorentini che tutti insieme (comunque guelfi) vinsero ma soprattutto sopravvissero all’evento guerresco. Corso, Francesco, Cione, Neri … Dante. Sì perché in quella masnada, a tremare, combattere e poi a ringraziare, c’era anche colui che ebbe in dono “quel sacro fermento che gli ha permesso di spingere l’amore ad una sublimazione incessante" (L. Stefani)”.
Tuttavia Dante, che si sappia, non ha mai scritto una parola su San Barnaba, sebbene il significato del nome Barnaba, “figlio della consolazione”, possa essere associato a uno dei temi centrali del Paradiso: la consolatio seguente alla prova, come forma di sapienza e beatitudine.
Dopo la vittoria a Campaldino i guelfi fiorentini assunsero definitivamente l’apostolo (che poi apostolo non era, ma compagno di san Paolo sì) come protettore. E c'è persino chi attribuisce a Barnaba la prima diffusione del cristianesimo a Firenze, avvenuta nello stesso periodo in cui l'evangelizzatore si recò a Milano (dove esiste una tradizione più marcata).
Insomma, come non dare un tempio di degne proporzioni a san Barnaba, da considerarsi anch'esso uno dei protettori della città? (assieme a un'altra decina di personaggi … perchè a Firenze abbiamo una certa "proliferazione di patroni", come faceva notare giorni fa una guida turistica al suo gruppo).
L’architetto
E dunque, nel corso del "fervore barnabiano", fu la stessa Repubblica ad accollarsi la realizzazione dei propositi del Capitolo di San Lorenzo, trasformando il progetto d'oratorio in un'edificazione più grande. In effetti la chiesa di San Barnaba è tutt’altro che minuta: con ampia navata, navicelle laterali, spazioso transetto, alti soffitti.
Secondo una tradizione inoltrata dal Richa, ai lavori (ripresi nel 1322 dopo un'interruzione) partecipò anche Giotto. Questa attribuzione, oggi messa in dubbio, può dipendere dallo stile gotico sobrio e proporzionato, sebbene si noti nella chiesa una certa spinta verso l’alto, rispetto a edifici fiorentini analoghi e delle stesse dimensioni.
Guardando alla chiesa di San Barnaba, possiamo immaginare che il progetto giottesco del campanile — di cui l’artista si occupò solo per i primissimi piani — fosse altrettanto slanciato e al contempo sobrio. Con l’aggiunta del rivestimento in marmi bianchi, verdi e rossi che la chiesa guelfa non avrebbe avuto mai.
I frati
Conclusi finalmente i lavori nel 1350 circa, San Barnaba fu affidata a frati minori provenienti dall’Osmannoro (più avanti passò agli agostiniani e nel '500 ai carmelitani).
Anche questa informazione, nella quale m'imbatto inaspettatamente, è per me alquanto significativa.
I francescani si erano stabiliti già da tempo a Firenze, in Isola d’Arno (1228), e proprio degli anni ’50 è l'inizio della costruzione della prima basilica di Santa Croce, incoraggiata da Innocenzo IV (1252). Molti studiosi si sono interrogati sulla questione dell’origine della titolazione alla Santa Croce, io stesso in un recente libello ho posto qualche ipotesi. Fu questa portata dai francescani, o esisteva già una cappella di Santa Croce, collegabile a un originario cosiddetto Tempio che compare nelle fonti?
Il fatto che i francescani di San Barnaba provenissero da una Santa Croce all’Osmannoro, e che questa esistesse già al tempo del primissimo oratorio fiorentino, ci dà un’indizio importante sul legame tra francescani e titolazione alla Croce, confermata inoltre da tutta una tradizione teologica che fioriva proprio nella metà del Duecento.
Penso dunque che non sia necessario andare fino ad Arles o a Vienna per trovare un precedente del genere, e che la titolazione alla Croce — almeno quella che ci riguarda — abbia un'accezione sostanzialmente francescana.
La Madonna
La Chiesa di San Barnaba fu posta sotto il patronato dell’Arte dei Medici e Speziali dal 1335. L’arte aveva come santi protettori sia san Barnaba che la Madonna, colta però in una precisa iconografia.
Infatti l’immagine posta sopra la porta d'ingresso della chiesa non è semplicemente una Vergine con il Bambino, ma è lo stemma di questa corporazione, che mostra Maria seduta sotto un arco.
Un’immagine analoga, sempre in terracotta policroma, è presente sul muro esterno di Orsanmichele.
A Orsanmichele, il tabernacolo esterno dell’Arte ospita la famosa Madonna della Rosa, su cui ho scritto un articolo mesi fa. La nicchia corrisponde, internamente, al pilastro ove è raffigurato San Barnaba.
Quando, negli anni '20 del Seicento, si decise di spostare la miracolosa Madonna della Rosa all’interno di Orsanmichele (per proteggerla dai ripetuti e inspiegabili atti vandalici), l’Arte dei Medici e Speziali aveva fatto istanza per trasferirla nella Chiesa di San Barnaba, senza ottenere successo (*).
Il santo guerriero
La chiesa si distingue per un ambiente introduttivo caratterizzato da tre navatelle. Concluse queste, ai lati, incontriamo alcune tracce di affreschi tra cui una scena di battesimo e, a sinistra, frammenti recanti l’immagine di San Clemente (XIV secolo) e quella di San Michele Arcangelo.
Si tratta, quest'ultima, di un’immagine tardo-trecentesca a mio avviso assai importante, d'ottima fattura, attribuita a Lorenzo di Bicci. San Michele appare nel pieno della sua iconografia primo-rinascimentale, ricordando la coeva immagine afrescata su uno dei pilastri di Orsanmichele; ma anche il caso dell’affresco di Paolo Schiavo (che era iniziato all'Arte degli Speziali) visibile nella chiesa di San Michele de’ Monti, sul Monte di San Michele in Chianti, di cui mi sono occupato in passato.
In tutti e tre i casi il santo ha nella posa un ché di "borghese", pur vestendo l’armatura, con il mantello che la copre elegantemente e i capelli raccolti in modo quasi femmineo. Non rinuncia certo né alla sua spada né al globo crucigero, ma l'avanzare appare serafico e distaccato.
L'erosione dei secoli, e senz'altro qualche offesa subita dalle figure, hanno annullato il volto del drago, del quale apprezziamo invece l’assoluta eleganza della coda, rivolta verso l’alto, esattamente come nell’immagine presente a Orsanmichele — retaggio gotico e traccia evidente di una continuità artistica.
Le ali sono ampie e slanciate, dalle tonalità rosse e verdi, contenute in una finta-nicchia a volta a crociera; cromatismi e ambienti che ci ricordano anche la coetanea Madonna del Parto del Gaddi.
Penso che anche attraverso San Barnaba si possa trovare conferma a quanto e come, la cappella del Monte San Michele e la sua icona, fossero collegati a una realtà metropolitana fiorentina, ai suoi simboli e alla potenza della sua spiritualità. Fatto tutt'altro che scontato, visto l'isolamento di quell'edificio, posto in luoghi impervi, sulla misteriosa Linea micaelica, così lontano da qui, da questa mia mattinata fiorentina.
Pseudoconclusione
Chiese, santi, artisti, poeti, frati, draghi, tanto altro da scoprire nella chiesa, e molto altro di non detto, dentro e fuori. Ma soprattutto "nodi" sui quali ho avuto modo di dibattere in alcuni libri usciti nel corso degli anni (vedi i link), che fanno per me, della chiesa di San Barnaba, uno scrigno di rimandi a cose scritte o fatte, azzeccate o anche scazzate, spiegandole in parte, in un discorso di fondo che evade dalla stessa quotidianità dei luoghi, invitando a una qualche fuga dalla mera cronologia.
La luce a volte viene da fuori: forse, qui, si tratta solo di pochi passi. E lo scrigno di San Barnaba è solo un’immagine prismatica, capace di dare senso ad altre (altrettanto prismatiche?), in base a dove e come vi rimbalza la luce dello spirito — attraverso il varco.
LP
Fiorendipità
Ogni primo Martedì del mese
*Grazie a Siyana Nikolova Martcheva - esperta di Orsanmichele - che mi ha passato queste informazioni sulla Madonna.
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