San Francesco a Firenze

Il 22 aprile scorso, giorno in cui è venuto a mancare papa Francesco, stavo finendo di scrivere/rileggere il mio ultimo saggio apponendo data e città dopo l’ultima frase. Una curiosa coincidenza per quanto mi riguarda, poiché quel testo parla anche di san Francesco e dei francescani che per primi giunsero a Firenze.
Così, mentre ancora non so quando e come questo mio nuovo libello vedrà la pubblicazione, mi è venuto spontaneo ripercorrere i passi di Francesco - quello antico - a Firenze e lasciare qualche riga, in giorni comunque significativi.


Francesco e Firenze


In realtà la presenza di san Francesco in questa città non ha mai trovato chiari appigli storiografici, come molti altri frangenti della vita di quell’uomo incredibile, confusa nella leggenda e nella tradizione già da subito.
Sappiamo che nel 1228, dopo la morte del santo (1226), Gregorio IX (ovvero il vescovo ostiense Ugolino che già da tempo seguiva i caso di Francesco) concesse ai frati minori di stabilirsi definitivamente nella chiesuola di Santa Croce in Isola d’Arno. Non sappiamo da quanto i frati abitassero in quel luogo, ma sappiamo che avevano vissuto nello spedale di San Gallo, ospiti dei futuri terziari.
L’oratorio di Santa Croce fu dotato di un cenobio grazie alle molte donazioni e collaborazioni, estendendosi quindi nei terreni e nei casamenti fino all’edificazione della prima chiesa duecentesca (dal 1252). A tal proposito esiste una manciata di pergamene che espongono le vicende di alcuni terreni, spesso vicini a quel Tempio che fino ad oggi non è mai stato possibile identificare con un luogo preciso.

Da altre fonti comprendiamo una certa difficoltà dei primi frati nello stabilirsi nell'Isola d’Arno - così era definita quella zona circondata da fossi e acquitrini - e l’esistenza di alcune contraddizioni all’interno della cogregazione, con casi di apostasia e dubbie convivenze.
Ma, di fatto, entro il Duecento le informazioni sui francescani di Santa Croce sono poche e nebulose (1).


I primi minori a Firenze


La tradizione, trasmessa da Tommaso da Celano ed altri, e quasi romanzata dal Davidsohn, ci dice molto di più.
Una volta realizzato fosse il caso di portare la sua parola in tutto il mondo, Francesco avrebbe inviato Bernardo di Quintavalle e un altro fratello a Firenze.
Quando i due giunsero in città (entro il 1210?) furono scambiati per vagabondi e a malapena trovarono un giaciglio. Pernottarono in un portico all’aperto, in pieno inverno, riscaldandosi con una stufetta in terracotta. Il giorno seguente entrarono subito in chiesa a pregare, rifiutarono le elemosine, cominciarono ad assistere chiunque fosse più bisognoso di loro, guadagnandosi lentamente il rispetto di alcuni, come una coppia di coniugi che li accolse nella propria dimora.
Non mancarono però gli sberleffi, le contumelie, gli imbrattamenti da parte dei giovinastri della città e non solo (2).
Di fatto non esisteva ancora l’intenzione di prendere una sede stabile nelle principali città, ma solo compiere prediche e far conoscere a tutti la nuova via indicata dal padre Serafico. Lo stesso Bernardo, poco tempo dopo, si sarebbe recato anche a Bologna, a piedi, ricevendo analoghe accoglienze: iniziale diffidenza e un lento ma irriducibile appoggio.


Lo spedale di San Gallo

Proprio sulla strada per Bologna, nell’immediata periferia della città, sorse nel 1218 l’ospedale di San Gallo, fondato da Guidalotto Voltodellorco. La chiesa si trovava dove ora sorge l’arco trionfale del XVIII secolo, in Piazza della Libertà. Sappiamo che questo fu il primo luogo dove i fancescani si accasarono, e non è da escludere che Guidalotto sia lo stesso uomo che accolse per primo i minori (sappiamo che la moglie partecipò in prima linea alla creazione dello spedale).
Ugolino assunse l’ospedale sotto la sua protezione, come avrebbe fatto più avanti per la chiesuola di Santa Croce e per altre case francescane in altre città. L’assistenza ai poveri e la dichiarata povertà conferirono ai minori una certa fama e il popolo li ebbe in simpatia compiendo continue visite e donazioni. Meno entusiasta doveva essere Francesco, che non vedeva di buon occhio la fondazione di sedi istituzionali - per quanto i francescani non ne risultassero mai ufficialmente proprietari (3).
Secondo altre memorie, i minori avrebbero vissuto in altri luoghi, sul Mugnone o a Pian di Ripoli (4).


Francesco e Santa Croce

Il passaggio del Poverello nella città del giglio è un fatto pressoché scontato: è impossibile che durante i suoi viaggi a Nord non si sia fermato anche qui. Ma è probabile che ciò sia avvenuto solo anni dopo la nascita della fratellanza (5).

La tradizione ci narra che san Francesco fu ospitato presso la chiesa di Santa Lucia de’ Magnoli, in via de’ Bardi, dove esisteva uno spedale (6). Una targa nel vicino tabernacolo ricorda l’evento, mentre il santo compare nella pala di Domenico Veneziano, del 1445, proveniente da  Santa Lucia (oggi agli Uffizi).

È fatto dibattuto, se nel 1221 Francesco abbia incontrato proprio a Firenze Ugolino, che lo avrebbe fatto desistere dall'idea di partire per la Francia (dove invece inviò altri suoi frati, 7). Ma è probabilmente in questo periodo, o in quello immediatamente successivo, che i francescani furono invitati a stabilirsi nell’Isola d’Arno. Il luogo era ancora periferico, poco igienico e mal frequentato ma evidentemente destinato al progresso dell’urbanizzazione. Si trattò, io credo, di una decisione essenzialmente politica, convenuta forse con il padre Serafico poiché l’Isola era idonea alla realizzazione della regola.

Se così fosse è quindi probabile che lo stesso Francesco abbia predicato in quel luogo, caratterizzato da grandi spazi che si riempirono di fiorentini curiosi, ma anche di uomini di clero, simpatizzanti e detrattori.
Si dice infatti che il santo venisse accolto nelle città con entusiasmo, agitazione di rami d’ulivo, moti di speranza, gioia e quasi divertimento, viste le modalità curiose con cui veniva introdotto, ad esempio con il suono di un corno d’avorio (8). Insomma una specie di piccolo spettacolo oratorio, capace di rompere le tradizioni ma anche il senso di “sovversioni” ormai stantie che vedevano nella penitenza e nel castigo l’unica via alla salvezza, quando invece i minori, insieme alla povertà, cercavano di portare il sorriso.

Il successo di Francesco a Firenze fu tale che proprio qui, secondo Davidoshn e altri, fu creato il Terzo Ordine francescano (9).


Oggi

Non credo sia il caso di perdersi sulle analogie tra le figure dei “Franceschi” né in osservazioni su altre moltitudini che abbiamo visto nei giorni scorsi in televisione, pregne delle solite insanabili contraddizioni tra politica e vangelo.
Con buona pace di alcuni dei miei più cari amici che non hanno mai visto di buon occhio l’ultimo papa (forti di rispettabili assunti intellettuali), dirò che a me è sempre stato abbastanza simpatico nonostante gli "scivoloni" e penso che abbia cercato di rappresentare il nome che portava; i fatti, poi, sono altra questione.
Ma forse l’evento più importante di quel pontificato si è svolto nei primissimi istanti: la scelta del riferimento al Poverello fu poderosa, così come la declamazione del suo nome dal terrazzo di San Pietro.

Penso infine che i fiorentini che hanno qualcosa da dirsi a proposito di tutto questo, potrebbero cercare un po’ di quella potenza là dove era la prima Croce fiorentina, dietro e intorno alla grande (forse troppo grande) basilica arnofiana.
Quel quartiere di orti e casette dove Francesco ebbe i suoi luoghi sacri che viene ricordato e celebrato per tutt’altro, così come per qualcosa che non vi fu mai.

LP
Fiorendipità
ogni primo Marte-dì del mese





Note

1) Per il dettaglio delle fonti attinenti a quento detto, rimando al mio testo In cerca del Tempio, di prossima pubblicazione. 

2) Per questi fatti vedi R. Davidsohn, Storia di Firenze, Sansoni, Firenze 1977, v. II, p. 166 e seg.

3) Ibid., pp. 168 e seg.

4) Vedi sito web dell'Opera di Santa Croce.

5) Davidsohn, cit., pp. 175 e seg.

6) La Chiesa fiorentina, a cura di G. Villani e V. Cirri, LEF, Firenze1993, p. 149.

7) Davidsohn, cit., pp. 176-177.

8) Ibid., p. 175.

9) Ibid., pp. 177 e seg.

Foto del tabernacolo di Sailko, CC 3.0, rielaborata